Acr Messina, game over

Pubblicato il 17 Dicembre 2018 in Primo Piano

Non basta un nome per scrivere la storia. Non basta un acronimo per fare una squadra, non bastano le parole per creare la realtà. Il Messina di Pietro Sciotto costringe a una narrazione identica, ormai, da un anno e mezzo. Una rincorsa al fallimento sportivo senza precedenti, una lista di errori in serie figli della inesistente visione calcistico-gestionale di questa società. Il Messina bazzica sul fondo di un campionato scadente, di livello così mediocre che anche una squadra terzultima e senza anima può ancora guardare alla zona playoff. Illusioni buone per riempire qualche riga in più, ma che si vanno a scontrare con una storia che racconta le medesime cose da interminabili mesi.

DIRIGENZA – La mancata costruzione di una base dirigenziale è il peccato originale. Anche in Serie D non basta la sola proprietà, soprattutto se la stessa non ha l’esperienza e lo spessore per sobbarcarsi gli oneri di un campionato pastoso e complicato come quello di quarta serie. Pietro Sciotto ha speso, probabilmente troppo e per colpe sue. Sarebbe banale imputare al numero uno la questione economica, l’obiettivo si sposta sul modo in cui questo denaro è stato sprecato: all’inizio della sua avventura, il presidente giallorosso, sottovalutò l’importanza di un management strutturato, affidandosi a ex dirigenti ormai stanchi. Il crollo organizzativo è stato evidente, tanto che le critiche più concrete puntarono sulla struttura più che sull’aspetto meramente sportivo. Una società che si rispetti, e che ha obiettivi a lunga scadenza, non può pensare di scrivere il proprio destino separando parte amministrativa e parte tecnica. Su tutti e due i fronti, però, Pietro Sciotto paga colpe soprattutto sue: la scorsa stagione il colpo di fortuna, perché tale è stato, fu quello di incrociare la propria strada con Lamazza e Modica. Non due fenomeni, solo due professionisti con in testa idee di calcio normali e organizzate. La fine del sodalizio è stata fisiologica, una conclusione naturale tra due mondi e stili troppo diversi per camminare insieme. Non si vive di soli Lamazza e Modica, il loro addio va messo nella casella degli errori ma, entrambi, restano figure sostituibili. La cosa difficile diventa individuare come farlo: sul piano gestionale il ritorno di Lello Manfredi è stato nell’ombra, con il direttore generale che ha preferito apparire poco, probabilmente anche per non far comprendere realmente quanto abbia inciso sul cammino attuale. Quale strategia adotti il presidente Sciotto non è facile da capire, attorniato come sempre da troppe voci pregne di presunzione. Sul piano sportivo il fallimento è evidente: incapacità totale nella scelta di un direttore sportivo di cui fidarsi, da Rappoccio a Polenta con l’intermezzo di Grasso e lo strano incarico affidato a Castorina, fino a un Gianluca Torma gravato della responsabilità di riscrivere tutto in pochi giorni. Gli allenatori meritano un capitolo a parte, perché solo l’insipienza fa credere che uno valga l’altro.

ALLENATORI – Non una follia quella di affidarsi a Peppe Raffaele la scorsa estate, anche se la sensazione che si trattasse di una bomba a orologeria era netta. Tra Raffaele e Sciotto lo scontro era fisiologico, è bastato davvero poco per un addio che lascia rimpianti solo tecnici, perché sul piano interpersonale nessuno poteva aspettarsi qualcosa di diverso. Tra Raffaele e Infantino c’è un mondo di differenza: l’ex Igea Virtus vuole un calcio intenso e offensivo, per Infantino le armi dovevano essere altre. Impossibile far rendere una squadra costruita per l’uno dall’altro, i risultati si sono visti immediatamente. Dalla loro, i due, vantavano una stagione positiva nel Girone I con Igea Virtus e Acireale che avevano trovato risultati e continuità, soprattutto viste le basi. Passare da Infantino a Biagioni è stato l’inizio della fine: il tecnico romano non ha dato nulla al Messina, il suo 4-3-3 non ha nessuna caratteristica di quello zemaniano, ma non è neanche basato sulla solidità difensiva e le ripartenze. Il Messina scende in campo in maniera casuale, non ha uno spartito, non esiste una trama di gioco se non quella di incrociare le dita quando il pallone rotola dalle parti di presunti leader tecnici. La tattica è spesso confusa coi numeri: soluzione di banalità buona per chi non conosce le pieghe del calcio. La tattica non è il sistema numerico ma il modo in cui una squadra gioca a calcio, in cui mostra il suo calcio. Settimane di parole e giustificazioni che non hanno convinto, le ultime in ordine di tempo lamentano l’assenza di un vero centravanti. Realtà, ma inconsistente dato che questo Messina non pecca in cinismo e precisione ma in creazione: Biagioni avrebbe ragione se la mole di gioco non venisse finalizzata, il vero assente è proprio il gioco. Il Messina non tira in porta, non crea nulla e scaricare tutto sull’assenza di un bomber diventa risibile. La storia di Biagioni a Messina potrebbe anche terminare qui, sarà impossibile per lui cambiare la direzione di una squadra che ha bisogno di un insegnante di calcio, di imparare nuovamente come affrontare un campionato difficile e che non smetterà di avere la pressione che la piazza impone.

SQUADRA – Colpa di tutti. Sul piano del rendimento personale i calciatori visti fin qui sono condannabili, nessuno di loro ha però imposto la propria presenza a Messina, qualcuno li ha portati in riva allo Stretto. Ci sono quelli di Cozza e Rappoccio che poi sono andati via o forse no, quelli di Raffaele e Grasso, quelli che andavano bene a Infantino e Polenta, e persino quelli voluti da Biagioni. Non si costruiscono così le squadre, impossibile pensare che questo sistema possa davvero portare a risultati diversi di quelli ottenuti dai giallorossi. Sciotto ha speso tantissimo, non è un merito perché nel calcio si spende e lo si fa dall’alba dei tempi. Ha speso troppo, ha speso male perché non ha trovato la linea naturale e giusta da seguire. Il campo ha mostrato una squadra composta da calciatori al tramonto o non adatti al campionato che il Messina aveva in testa: la croce sui ragazzini non va mai gettata, nonostante tutto il brutto mostrato da loro non si può condannare calciatori poco meno che ventenni. I giovani sono spugne: Meo, Cozzolino, Mascari sono l’esempio di quello che è stato realizzato lo scorso anno. Il loro rendimento viaggiava sulla scia di una squadra diventata vera, non possono essere mai i ragazzi a trascinare ma possono diventare decisivi quando le cose funzionano. Meo non ha disimparato a parare, soffre del livello di una condizione infima e ne paga le conseguenze più evidenti. Fabio Bossa è l’altro esempio, un calciatore tornato impaurito dopo una mezza stagione brillante. Il discorso può essere allargato a tutti gli under, senza far finta che siano tutti vittime: non basta essere giovane per venire giustificato, perché mostrare un livello accettabile resta un obbligo. Capitolo over: il Messina ha sbagliato tutto. Sulla carta la squadra costruita era più forte, lo era perché quella allenata da Modica era diventata credibile grazie al suo lavoro. Le squadre, però, non giocano sulla carta e il discorso tecnico deve essere armonico e organizzato: in difesa il vero rimpianto è Porcaro, l’ex Rende aveva tutto per essere un leader capace di fare la differenza. Scaricare tutto su di lui è stato un errore, perché se un calciatore non restituisce quanto atteso i motivi possono essere molteplici. L’ambiente, soprattutto quello interno, conta e non va mai sottovalutato. Cossentino, Russo o l’immobile Ibojo sono errori banali e per i quali bastava dare un’occhiata al cammino degli ultimi anni. Genevier resta una certezza, attorno a lui si è mossa una girandola di calciatori senza spessore per la categoria con Traditi a fare da manifesto vivente. L’attacco è il capitolo più amaro: Gambino non segna mai, la sua carriera è costellata da alcune reti che non fanno la differenza, in più la decadenza quando arriva non si ferma. Petrilli o Rabbeni hanno mostrato poco, perché il vero problema è schierarli fuori da un contesto calcistico e sperare che creino da soli, e così sarà per Catalano se non cambierà la filosofia. Arcidiacono resta a galla grazie al suo carattere: a livello tecnico resta un lusso per la categoria, pur coi limiti che ne hanno costellato la carriera. Buttare il peso tutto addosso a lui è ingiusto, perché un calciatore rende di più se ritenuto importante e non se deve recitare la parte del salvatore della patria. Il mercato ha portato nuove figure: il brasiliano Lourencon e il difensore Zappalà hanno mostrato carattere, per Janse il pericolo è quello che la benzina sia troppo poca. Amido Baldé resta un’incognita, ma nessun attaccante segna a dispetto delle occasioni. Il futuro? Il calcio è un mostro strano, nessuno quindi si sorprenderà mai se il destino verrà trasformato. Questo, però, non cancellerà quanto scritto fin qui, non muterà l’opinione e l’analisi di una società che dopo un anno e mezzo non ha ancora posto la prima pietra.

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