Dilettanti, figli di un dio minore

Pubblicato il 5 Novembre 2020 in Primo Piano

Tutto fermo. La Serie D dice stop: per tre settimane e per lasciare spazio ai recuperi, tantissimi, dovuti ai contagi Covid all’interno delle squadre. Decide di fermarsi, quasi, per un senso di responsabilità. Chi vive questo mondo giornalmente, però, resta consapevole dello stato di abbandono.

ABBANDONATE – Quarta serie che oscilla, sempre e comunque, secondo il vento che FIGC e LND preferiscono. Un giorno vanno equiparati ai professionisti, l’altro mancano le misure minime per portare avanti campionati come si fosse in Serie C. La questione, alla fine, è solo economica: il mancato supporto alle società dilettantistiche non nasce oggi, ma si aggrava in un momento di crisi mondiale. Il calcio è stato toccato, e fortemente. Quello di C e D massacrato sia in superficie che in profondità. L’interruzione dello scorso marzo, la non ripartenza sprecata dal non aver approntato – a livello di LND – un piano di sostentamento dei club. Non perché si vive solo di sussistenza, ma perché pensare di gravare società dilettantistiche di ulteriori costi, senza aiuto, è davvero inaccettabile. Per ripartire è stato stilato un protocollo risibile: senza alcuna linea guida reale ma, solo, direttive generali da valutare di caso in caso. La LND, però, per non rischiare nulla – cioè il propagarsi dei contagi – ha sempre deciso di rinviare le sfide in caso di positività. Il susseguirsi di casi, però, ha un diretto legame con la totale assenza di una programmazione di intesa coi club. I costi per tamponi settimanali – anche più volte a settimana – non sono sostenibili per tutte le società di Serie D, e senza un supporto reale della Lega non è possibile effettuarli. Le società – spendendo un paio di migliaia di euro al mese – si affidano a test sierologici, comunque affidabili, che danno una certezza di non contagio meno continua rispetto a tamponi ogni tre giorni. Inutile girarci intorno: senza il supporto di Federazione e Lega in Serie D non è possibile tutelare al 100%, in primis, la salute dei tesserati. Lo scarico della responsabilità sulle società è gravissimo.

PARAVENTI – Ci è voluto il forte messaggio di Lele Adani – opinionista di Sky – per accendere i riflettori sulla fragilità dei dilettanti. La base va salvaguardata, anche con contributi dalle serie maggiori come chiede lo stesso Adani. Nel nostro piccolo lo avevamo fatto anche noi – lo scorso 29 marzo -, non per un senso di pietismo ma per il vivere quotidianamente realtà che fanno i salti mortali per garantire un livello da Professionisti, nonostante nessun ricavo extra da diritti tv o con botteghini irrisori, in questa stagione inesistenti. Allora, oggi che la Serie D si ferma, torna utile alzare la voce e denunciare come i piani alti del calcio dei campionati dilettantistici se ne freghino, senza possibilità di venire smentiti. Se in Serie A, per esempio, è chiaro che la pandemia abbia smascherato società che viaggiavano oltre i propri limiti e possibilità, in Serie D (ed Eccellenza) si prova solo a sopravvivere. Una volta crollato il castello – che è crollato – a pagare, però, sembrano solo i più piccoli. Il protocollo della Serie D non esiste, e diventa difficile pure contestarlo. I rinvii, infatti, in fin dei conti sono fisiologici, e la LND è consapevole di dover rinviare le sfide per mancanze proprie. La paura, infatti, vince su tutto e lavarsene le mani senza far rischiare catene di contagi è evidente. Il discorso si ripete: senza tamponi settimanali, in caso di un contagio, rinviare è necessario per poter isolare la squadra e capire se è in corso un focolaio oppure no. Uscendo dal campo di cosa c’è scritto nelle regole, provando invece a capire come vengono interpretate, allora: non è fattibile il protocollo che dice di dover giocare avendo 13 giocatori (tra cui un portiere) a disposizione. Perché? Perché senza tamponi settimanali, infatti, non c’è il tracciamento su eventuali soggetti in incubazione. Esempio: nella squadra X un calciatore mostra sintomi, fa il tampone ed è positivo. A quel punto scattano quelli per gli altri componenti: mettiamo il caso siano negativi. Possono giocare? No, perché potrebbero essere in incubazione e andando a giocare rischierebbero di iniziare una catena di contagi. Per questo, allora, scattano i rinvii e gli ulteriori tamponi: e, spesso, si scoprono focolai all’interno delle squadre. Cosa fare? Se si vuole scrivere un protocollo per la D – e si deve -, bisogna garantire il sostentamento ai club per poter effettuare tamponi come tra i professionisti. Solo in questo caso, allora, si potrebbe pensare di non rinviare decine di gare a settimana.

FUTURO – Senza una rivoluzione radicale e di sostentamento economico, quindi, la decisione attuale della LND è, sostanzialmente, inutile. Che il 29 novembre si riparta non è automatico, come nessuno può garantire che i club che dovranno giocare i recuperi nelle prossime tre settimane possano davvero farlo. Quello che è valso, complicando il percorso dei club, potrebbe tranquillamente ripetersi nelle prossime settimane. Fermare tutti non serve se – domani – non si deciderà di ripartire aiutando le società a portare avanti un monitoraggio della salute del gruppo squadra realistico. Tra mancati botteghini e spese per i controlli medici, infatti, è più probabile pensare a decine di club che diranno “stop” a campionato in corso. Tornando al Girone I – ma vale anche per quelli settentrionali -, poi, si vive col paradosso di recuperi che vedono interessati club calabresi, regione rossa col divieto di mobilità extra-regionale e persino all’interno dei singoli comuni. I recuperi, però, sono fissati. Come fissata è la ripresa del 29 novembre, il DPCM ha validità fino al 3 dicembre e in Calabria – ma anche in Sicilia che è arancione – si dovrà tornare a giocare. Ma come? E si torna al protocollo. Perché, oltre alla questione tamponi, c’è quella della bolla. In Serie A, forse in B e C, creare la bolla per il gruppo squadra – sopratutto di quelle presenti in regioni in zona rossa – può essere sostenibile. In Serie D come si fa? Il Roccella – ultimo in D – dovrà giocare un recupero, e pensare alla ripartenza del 29. Dovrà farlo, allora, monitorando la salute del gruppo squadra che, intanto, vive secondo le indicazioni del DPCM per regioni in zona rossa, questo comporta che il loro spostamento per motivi lavorativi (perché questi ragazzi con il migliaio di euro al mese che tirano su ci campano) debba essere fatto in sicurezza. A quale costo? Eccessivo, impossibile senza il contributo a cascata di FIGC e LND.

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