Messina, nessun dio è sopravvissuto alla perdita dei propri fedeli

Pubblicato il 10 Febbraio 2020 in Primo Piano

Nessuna reazione. Encefalogramma piatto per un Messina alla deriva, guidato da un tecnico che aveva lanciato segnali di resa settimane fa e avvilito da una proprietà incapace di gestire rapporti umani in maniera dignitosa. A Marsala si recita un copione già noto, un disastro lungo tre anni.

LA PROPRIETÀ – Noioso, forse anche noiosissimo. Parlare del Messina degli Sciotto significa ripetersi, insistere su difetti ed errori che non hanno insegnato nulla nell’arco di un triennio incapace di regalare una singola gioia. Il primo anno neofiti, il secondo fallimentari in modo clamoroso, il terzo sulla scia del precedente tenuti a galla solo dall’eredità della gestione Camaro. Oggi diventata fumo negli occhi per la famiglia tirrenica, perché con gli Sciotto il finale è sempre lo stesso: rottura totale. La critica sull’eccessivo decisionismo sciottiano dei primi due anni era stata accolta con scetticismo da Pietro Sciotto, tanto che affidare la gestione a dirigenti esterni era stata una forzatura dettata dai pessimi risultati e dal tentativo di arruffianarsi la piazza. Occasione mancata, molto più di quanto si pensi; perché il fallimento sportivo era stato isolato nel mare di una buona gestione dal punto di vista organizzato. Non una cosa da buttare via, perché il calcio si muove su logiche ben precise: nella rabbia dei post partita torna vivo il ritornello del “in campo ci vanno i calciatori”, verissimo e innegabile. Pensare, però, che quello che accade in campo possa essere slegato dal resto della gestione è, comunque, incapacità di lettura delle umane cose. Il livello delle prestazioni della rosa è crollato a livelli da retrocessione diretta, non un caso che questo sia coinciso con il caos societario. Quattro punti in tutto il 2020, con l’inizio del girone di ritorno a fare da punto di partenza di un Messina 2.0 post Camaro. Nessuna celebrazione di chi è andato via – perché le colpe di D’Arrigo e Rando sulla gestione sportiva sono già state analizzate e sentenziate -, ma la presa di coscienza di come l’addio a punti di riferimento chiari abbia incartato una squadra già fragile.

IL CAMPO – A Marsala arriva l’ottava sconfitta esterna stagionale, la quinta con Karel Zeman, alla fine di una settimana senza alcuna logica. La proprietà non fa allenare la squadra il martedì, la costringe a gitarelle alla ricerca di campi di allenamenti che riducono le sedute e l’importanza delle stesse. Si passa a una gestione da campionato amatoriale, anche per la fine del rapporto con il Camaro e il Despar Stadium dato che – come ovvio – un conto è far parte della stessa famiglia, un altro è rispettare casa degli altri. Pensare, quindi, che “in campo ci vadano i calciatori” in mezzo a questo squallido casino è simbolo di visione limitata. A calcio – a tutti i livelli – si gioca con la testa, e questo Messina ai suoi calciatori non riesce più a dare tranquillità, motivazioni e ragioni per portare avanti un progetto sportivo senza obiettivi e prospettive. Vero, anzi verissimo, che i giallorossi siano sempre stati deficitari in termini di risultati in stagione: sconfitte tecniche, però, con altrettante soluzioni come il cambio tra Cazzarò e Rando e il successivo con Zeman. Primo passaggio – come già detto – proprio il post derby, con uno spogliatoio infuocato e insultato. La tensione si accende, dimissioni presentate e ritirate e tutto sopito, tanto che la classifica restava in rincorsa ma accettabile, con un distacco dall’obiettivo playoff distante una manciata di punti. Nessuna vedovanza, quindi, perché si vive anche senza Manzo, D’Arrigo e Rando, ma una società seria che decide di chiudere un rapporto di collaborazione deve immediatamente ricostruire e ridare punti di riferimento ad allenatore e squadra, in più fornire tutto quello che serve per preparare gare dove nessuno ti stenderà il tappeto rosso.

I CALCIATORI – L’analisi della sconfitta di Marsala è roba di poco interesse. Il Messina non ha creato, praticamente, nulla finendo beffato da una disattenzione ormai classica. Maiorano pronto allo sviluppo della punizione di Candiano, i giallorossi no. Prestazioni al limite del decente quelle delle ultime uscite, peggiorate dall’oltranzismo di un Karel Zeman che resta ingolfato su idee improponibili per un gruppo mediocre dal punto di vista tecnico e poco applicato da quello tattico. Il peccato è, però, originale: Obbedio è stato crocefisso per quanto fatto, ma chi lo ha sostituito non ha fatto che peggiorare una rosa già in difficoltà. Il filo comune è uno: nessun progetto tecnico. Il Messina di Obbedio era un’accozzaglia di soluzioni disperate, quello che ne è seguito è stato influenzato dal ridimensionamento voluto dalla proprietà. Non a caso Karel Zeman cambiò la sua posizione – in tema mercato – dalla conferenza di presentazione ai giorni di apertura della sessione di dicembre. Una rosa vecchia da cambiare diventò, dopo settimane di lavoro, una rosa da cui salvare più di qualche protagonista. Ott Vale ed Esposito (solo due esempi) non erano forse da calcio zemaniano, ma le prestazioni ad Acireale e Giugliano dimostrano come fossero calciatori di categoria. La differenza, come sempre, è data dalla capacità di costruire un gruppo armonico dal punto di vista tecnico-tattico, senza collezionare figurine e nomi per accontentare la piazza. Errore, questo, che viene ripetuto da anni.

NESSUN DOMANI – Scrivere sentenze già a febbraio è forse errato. Necessario, però, visto che parlare dopo è sicuramente troppo facile, oltre che somigliante in maniera esagerata a sciacallaggio meschino. Sulla validità di qualsiasi progetto sportivo targato Sciotto avevamo emesso giudizi netti già anni fa. Il campo, la gestione, la capacità di intessere rapporti, di creare fiducia nel tifo è stata inesistente. Avventura finita a Latina, tenuta in vita soltanto dal colpo di coda del matrimonio con Antonio D’Arrigo (che chissà se si sarà pentito). Dell’estate, della trattativa con Arena, della sfida con il Football Club Messina ne abbiamo tutti piene le scatole. Cambia poco, perché l’insuccesso dell’Acr Messina è figlio di chi questa società la porta avanti senza una rotta da tre anni. Gli Sciotto non hanno scelto gli ex Camaro – altro ritornello trito -, ma provato a usarli da salvagente per provare a restare a galla in un mare che li vedeva annegare. Il destino era segnato, prima di tutto per il profondo distacco con una tifoseria intenta nel piazzare quotidiani striscioni di sfiducia in giro per la città. La pace non scritta è stata figlia di una rivalità sportiva che Sciotto non ha saputo sfruttare, non sapendo sfruttare una credibilità illusoria e creata dalla mente di chi cercava rifugio dal nemico sportivo. L’amarissima realtà, però, si è materializzata in tutta la sua devastante forza.

*foto tratta dalla pagina Facebook ufficiale dell’Acr Messina

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